LA DANZA SACRA DELLE MASCHERE DOGON

“Così infuocati, i danzatori mascherati e cinti di fibre rosse diventano frammenti di sole.”

da “Dio d’acqua “ di Marcel Griaule         

La rappresentazione della Troupe inizia con una sfilata in fila indiana delle maschere che forma un cerchio serpentiforme. La prima ad entrare in scena è la “Sorella” delle maschere, che vuole rendere omaggio alla donna che nella boscaglia ha incontrato gli spiriti e le maschere stesse e le ha fatte conoscere agli uomini, seguono il gallo, la giovane ragazza Bambara, la ragazza Dogon, la Kanaga, l’antilope, la Sirige (la casa degli antenati con il serpente Lebè che ha dato origine al mondo), la Lepre, la Iena, il Babbuino, il Trampoliere, la coppia di pastori nomadi Peul, i Briganti, il Goitreux, il Falegname gozzuto, il Guaritore, la Sagatara, il Giovane ragazzo, il Walu, il Bufalo, il Bidiè, il Pollo. Dopo due giri con ritmi differenti, il cerchio si rompe e le maschere intervengono una ad una o in coppia.

Ma ogni sera di rappresentazione riserva le sue sorprese…

Dapprima è rappresentata la danza delle maschere Imna Go, che racconta la cerimonia della sepoltura, il coraggio ed il valore del defunto. Viene narrata la durezza della vita sulla terra, ricca di colpi, combattimenti, avversità e fatica, per convincere l’anima del defunto ad intraprendere il viaggio verso il secondo mondo, l’aldilà, il Paradiso. 

Segue la danza Kadaga, originata nel villaggio di Toyogou, in cui gli uomini danzano con il tradizionale abito bianco chiamato pin-anran.

Infine, la danza Yo Go, la danza dei ladri, che viene eseguita durante gli incontri della società Segreta dei Ladri: gli uomini indossano il turbante e portano il bastone dei ladri, il yo dolomo, un mazzo di chiavi, un sacco ed uno scudo di pelle.

Altre maschere si alternano introdotte dai canti e dai tamburi per mettere in scena le essenze invisibili del mondo animista, per ritessere il mistero che accomuna la vita e la morte, la fertilità e la sepoltura, per garantire con un flusso costante la circolarità della creazione.

“La batteria dei tamburi è mantice e incudine, attiva e percuote i frammenti di sole che danzano”

M. Griaule “Dio d’acqua”

L’insieme musicale è composto da voci e percussioni: il boi na o grande tam tam, il boi tolo o piccolo tam tam. Le voci si dividono in varie categorie: il solista che intona il canto e il coro che lo riprende all’unisono, il vociferatore che parla in sigi-so, la lingua segreta del Sigi e della società Awa, canto sopra il canto che incita sia i danzatori che i musicisti.

I costumi sono ricavati dalle fibre dipinte di rosso, giallo e nero, mentre i tamburi mostrano uno splendido ornamento inciso nel legno e poi ricoperto di pelle di mucca.

LE MASCHERE DOGON: ORIGINE E SIGNIFICATO

Nella cultura Dogon la maschera è uno strumento religioso su cui si imperniano i riti funebri, è il supporto per l’anima del defunto, ne assorbe l’energia vitale per ridistribuirla nel mondo, e lo congeda prima del suo lungo viaggio verso il regno degli antenati. 

L’uso della maschera, qui,  differisce quindi totalmente da quello tipico della nostra cultura occidentale, dove è destinata al travestimento e al mascheramento.

Secondo la tradizione, le maschere furono trovate nella boscaglia da una donna, più vicina dell’uomo al divino, all’invisibile: furono i piccoli spiriti che abitano la brousse a donarle la prima maschera e ad affidarle il compito di portarla al villaggio, di consegnarla alla comunità.

Le maschere Dogon, di legno intagliato, sono colorate e rappresentano animali, esseri umani, oggetti e spiriti. Il costume è di fibre vegetali sgargianti o altri tessuti che ricoprono quasi interamente i corpi, l’identità e il volto dell’uomo che la indossa sono celati, a rappresentare l’appartenenza del danzatore all’essenza spirituale che mette in scena.

“… e il corpo di ballo, la società delle maschere, è l’immagine del mondo intero. Tutti gli uomini, infatti, tutte le funzioni, tutti i mestieri, tutte le età, tutti i popoli stranieri e tutti gli animali sono scolpiti in forma di maschera o intessuti a guisa di cappucci.

La società delle maschere è l’immagine del mondo. E quando si mette in movimento nella piazza pubblica, essa danza la marcia del mondo, danza il sistema del mondo.

L’insieme dell’orchestra, del corpo di balli e della piazza è un simbolo della fucina che ritma il movimento dell’universo.” (da “Dio d’acqua” di Marcel Griaule)

 

LE TOURNÉES DELLA TROUPE AWA IN ITALIA

Nell’ottobre del 2001 i danzatori ed i musicisti della Troupe Awa di Sangha vengono invitati a Verona per la prima volta dalla neo-nata associazione MetisAfrica: è l’inizio di una collaborazione che si farà negli anni sempre più intensa, di una relazione che diverrà con il tempo amicizia, e poi, fratellanza.

La via è tracciata, gli amici danzatori torneranno, a cadenza regolare, ogni tre anni: nell’estate del 2004 saranno ospiti della comunità di Mamoiada (Nuoro) e poi porteranno le loro danze più a sud, a Villasimius, in provincia di Cagliari; nel luglio del 2007 verranno accolti da MetisAfrica a Verona, dove presenteranno due spettacoli, e danzeranno anche a Bologna; nel gennaio/febbraio del 2007 un danzatore del gruppo, Ogodana Dolo, verrà ospitato a Verona e terrà workshop di danza, seminari ed incontri nelle scuole; nel giugno/luglio del 2010 gli artisti dogon saranno ancora a Verona, e poi a Parma.

Ovunque porteranno le loro danze rituali, per lo più legate alle feste per il raccolto, ai passaggi iniziatici ed ai culti funebri. E con esse, arriveranno la potenza e l’incredibile leggerezza dei loro passi, la forza dei canti, dei tamburi, degli incitamenti…

L’associazione prende contatti sul territorio per organizzare gli spettacoli della parte italiana della tournée europea, si fa portavoce delle esigenze della Troupe, concorda date, luoghi, dettagli tecnici con gli interlocutori interessati. 

E poi organizza e promuove i seminari, i workshop, gli incontri nelle scuole con studenti, insegnanti, genitori: appuntamenti volti all’approfondimento e alla promozione della conoscenza presso un pubblico più ampio delle ricchissime tradizioni dogon, per valorizzare l’incontro e lo scambio con l’Alterità come condizione imprescindibile  per una convivenza di pace nell’attuale società multietnica.

Inoltre la presenza dei danzatori, esperti conoscitori del proprio paese e della propria tradizione, si rivela nel corso di ogni tournée un’occasione preziosa per proseguire ed intensificare il dialogo e la collaborazione tra le due realtà associative, per individuare insieme le criticità e situazioni di emergenza sulle quali intervenire nel Paese Dogon con futuri progetti e al contempo per realizzare sul territorio italiano una buona promozione della conoscenza delle attuali condizioni del Paese Dogon e dei progetti di MetisAfrica a sostegno della popolazione locale.

LA CONCORDANZA DELLE MASCHERE: LA TROUPE AWA A MAMOIADA, NUORO

“E’ una storia strana questa…

La storia di una maschera che in un’isola del Mediterraneo vede la foto di un’altra maschera di un paese ad oltre 3000km e vi riconosce un fratello lontano. Un po’ di tempo dopo, le maschere di un paese sub sahariano ricevono assieme a degli ospiti amici i manifesti di un lontano carnevale e guardando le maschere decidono che devono assolutamente incontrarsi. 

Dunque una storia di maschere che si rispecchiano profondamente le une nelle altre.” 

 da “La concordanza delle maschere” di Marco Deriu

E’ così che nell’estate del 2004 ha inizio l’avventura di uno gruppo di volontari di MetisAfrica e degli amici danzatori della Troupe Awa in terra di Sardegna: tra luglio e agosto una quindicina di volontari dell’associazione si sono trovati nel cuore della Barbagia per promuovere, accompagnare, tradurre e partecipare all’incontro tra la compagnia delle maschere dogon Awa Dances di Sangha e i Mamuthones di Mamoiada, due tradizioni di maschere, l’una antica e l’altra viva e presente, lontanissime geograficamente ma con singolari parallelismi. 

Per tre settimane spettacoli, seminari, visite archeologiche, feste, inviti, discussioni hanno approfondito il vivo rapporto tra le due culture, con risultati di sorprendente interesse. 

E tutti gli uomini, le donne, i bambini coinvolti hanno vissuto un’esperienza di profonda vicinanza, di riconoscimento.  

Gli abitanti di Mamoiada hanno accolto gli ospiti mori  aprendo le proprie case, condividendo carne d’agnello e vino nei propri pinnetu, partecipando a feste ed incontri di parola, secondo i codici di un’ospitalità sacra ed antica, già narrata da Salvatore Cambosu in “Miele amaro”.

Il progetto, oltre che da MetisAfrica, è stato appoggiato dal Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada e dalla Provincia di Nuoro. Il Museo Etnografico di Nuoro ha ripreso tutti i momenti più salienti dell’incontro per farne un filmato, che è stato presentato al Festival del cinema etnografico dal titolo ‘Turismo e turismi’ a Nuoro e successivamente a Parigi.