MetisAfrica ha fondato un “Centro per l’aiuto del bambino e l’adolescente migrante”, in convenzione con il reparto di Neuropsichiatria infantile della Asl 20 di Verona. La convenzione è rimasta attiva dal 2004 al 2011, ed ora prosegue con l’appoggio del Centro Servizi del Volontariato, di alcune scuole e con il contributo dei soci. Oltre alle attività già descritte, il Centro offre laboratori terapeutici che si svolgono nei pomeriggi infrasettimanali, dalle 17 alle 19 durante l’anno scolastico, mentre durante il periodo estivo si tratta di settimane di attività a tempo pieno (dalle 9 alle 17) in sede, oppure residenziali (al mare e in montagna).
I laboratori si ispirano al modello della “grande famille” e ai fondamenti della pedagogia africana (illustrata tra gli altri dai testi di P. Erny, e per noi appresa sul campo grazie alla collaborazione con scuole, maestri e pedagogisti maliani) dove età diverse convivono e collaborano in attività non performative, condividendo il cibo e la cura degli spazi e del gruppo, narrazioni di ogni cultura, momenti di scambi di esperienze di vita. Le attività proposte mirano innanzitutto a creare un continuum tra la cultura di provenienza delle famiglie e quella che le accoglie, a costruire un ponte e a rimarginare ferite e lacerazioni.
I giochi scelti hanno come obiettivo quello di incentivare la relazione e di imparare a modularla, misurando limiti e spazi con i pari, con gli adulti e con i più piccoli, senza seguire una logica che preveda un risultato o il conseguimento del prodotto: per questo motivo non sono mai proposte attività performative o scandite in modo meccanico e rigido, preordinato. I bambini vengono motivati a scegliere autonomamente e stabilire tra loro diversi compiti e ruoli, e sono invitati alla collaborazione, alla condivisione di oggetti ed alla capacità di mediare e stare in gruppo.
Altro obiettivo è quello di collegare tra loro tutte le realtà esistenti e attive attorno ai minori, i cui confini rispetto alla realtà familiare, sociale e di vita quotidiana, pur ben definiti, non siano impermeabili. Creare una rete di relazioni può facilitare un po’ alla volta l’uscita dalla condizione di isolamento di quelle famiglie di migranti che si ritrovano catapultate in una situazione estranea, assolutamente sradicate, prive di riferimenti ed impossibilitate, anche per la poca conoscenza della lingua, ad un contatto e ad un dialogo con le realtà istituzionali in cui vivono i figli. Al contempo si vuole in tal modo fornire sostegno a quelle famiglie italiane che per storia familiare e problematiche diverse si ritrovano a vivere in condizioni di analogo isolamento sociale.
I bambini ed i ragazzi coinvolti sono attualmente in totale una sessantina, di diverse origini geografiche e culturali: Italia, Sri Lanka, Ghana, Nigeria, Guinea Bissau, Senegal, Congo, Marocco, Tunisia, Russia, Moldavia, Santo Domingo, India, Brasile, Albania.