il primo passo di una presenza e di una collaborazione che sono continuate negli anni successivi, di un impegno e di un legame che si è fatto sempre più saldo. Questo progetto è stato in qualche modo occasione per la nascita stessa dell’associazione.
incontri in cui divulgare alcune notizie di base sul Mali e sulla popolazione di Bodio; un percorso di formazione per insegnanti sulla cultura dei dogon, promosso dal Provveditorato agli Studi di Verona; seminari con narratori africani, esperti di mitologia e di cosmogonia, con la collaborazione di ORISS e della Libera Scuola di Terapia Analitica(Li.S.T.A.) di Milano. Apam Dolo, guida e profondo conoscitore della tradizione orale dogon, ha condotto seminari sulla mitologia e sula vita nella società dogon e ha presenziato all’inaugurazione della scuola Li.S.T.A. di Milano, i danzatori della Troupe Awa di Sangha sono stati ospitati da MetisAfrica e da ORISS ed hanno danzato a Verona ed in Toscana.
NASCITA E STORIA DEL PROGETTO FOTO
Nel 1977 Piero Coppo, neuropsichiatra, e Lelia Pisani, psicologa, arrivano in Mali. Da Bamako, la capitale, viaggiano per 700 chilometri fino a Bandiagara, cittadina dell’altopiano dogon; da Bandiagara percorrono una pista di 18 chilometri fino a Bodio, piccolo villaggio contadino. Ci vogliono due ore, solo per quest’ultimo tratto.
Cercano Kasselem, il più esperto guaritore di follia del Mali, nell’intento di iniziare una conoscenza, uno scambio, un’amicizia tra il modo di cura occidentale e quello dei dogon, famosi per saper intervenire con grande sapienza nei casi di malattia mentale, e per averne mappe tanto insolite per noi quanto efficaci.
Piero e Lelia vivono parecchi mesi all’anno a Bodio, per tutti gli anni a venire; crescono lì i loro figli, aprono un ambulatorio misto in cui Piero e Kasselem visitano insieme i malati, Lelia condivide e aiuta la vita delle donne e dei bambini: i parti, le gravidanze, la prima infanzia. La possibilità di collaborare e di intendersi sfocia nel 1982 in una richiesta del Ministero della Sanità maliano per l’avvio di un progetto di cooperazione: darà vita al Centro Regionale di Medicina Tradizionale di Bandiagara.
Nel 1996 gli abitanti di Bodio chiedono a Piero e Lelia un aiuto, vorrebbero poter costruire nel villaggio una scuola: nessuno sa leggere né scrivere, temono che la loro tradizione vada persa, cercano una mediazione amica nel passaggio che sanno delicato da società basata sulla tradizione orale alla cultura scritta. Chiedono anche la fondazione di un Centro di Salute Comunitario, dove poter accogliere i malati che accorrono sempre più numerosi: vi sono otto guaritori specializzati nei vari settori della cura, e ciascuno di loro ha apprendisti e iniziandi. Piero e Lelia sono disponibili, sentono forte l’interesse per assistere a questi passaggi, e il vincolo di affetto e gratitudine con Bodio, con il figlio di Kasselem, Allaj, con le sue mogli Fadimata e Bintu, con quanti hanno visto nascere e crescere, con gli anziani del villaggio, con le donne, i bambini, i ragazzini, con il loro presente e il loro futuro.
Si riuniscono i villaggi limitrofi, e tutti consentono; Lelia riceverà un foglietto di quaderno – bene prezioso perché pressoché introvabile – con l’elenco dei ‘sì’: tra i dogon, una decisione diviene effettiva solo se è unanime. Ogni villaggio si è riunito nella piazza pubblica, sotto l’ombra di un grande albero, più e più volte, per raggiungere l’accordo. Si inoltrano le richieste al governo…
I contatti continuano, Piero e Lelia coinvolgono nel progetto l’associazione italiana ORISS (Organizzazione Interdisciplinare Sviluppo e Salute) che hanno fondato con altri membri della cooperazione nel 1990, per cui svolgono una missione di fattibilità nel 2000. Alla fine dello stesso anno, invitano in Mali due amici psicoterapeuti con cui condividono da qualche anno ricerche sulla terapia e progetti di formazione e di ricerca, Marco Gay e Giulia Valerio. Vogliono coinvolgerli nel progetto; Marco e Giulia sono disposti a dare un aiuto generico, ma esitano di fronte a una partecipazione più piena: non conoscono il luogo, sanno che i problemi che si agitano sullo sfondo della cooperazione sono sempre complessi; è difficile trovare dentro di sé una posizione accettabile e operativa, di fronte a realtà che si percepiscono, al primo approccio, come estreme.
Tornano in quattro a Bodio, frequentano le riunioni per i dettagli operativi: decidere il terreno su cui costruire, stabilire la partecipazione del villaggio, che diverrà socio d’opera al 20%. Forniranno lavoratori, le donne porteranno l’acqua per il cemento dai pozzi vicini; nel frattempo romperanno pietre per tutto l’anno – sono degli ottimi tagliatori -, con cui costruire la scuola…
Si intensificano gli incontri con l’imprenditore, Ibrahim Guindo detto Vieux, per disegnare gli edifici, cercando di rispettare il più possibile lo stile di vita dei dogon, il tipo di disposizione dei cortili e delle abitazioni, il clima estremo della zona, la natura del terreno, le necessità dei bambini…, la posizione rispetto all’abitato e alla strada in costruzione, che collegherà Mopti sul Niger al Burkina Faso e diventerà un’importante via di comunicazione, la strada del pesce.
Incontrano il sindaco di Dukombo, cui fanno capo Bodio e i villaggi limitrofi: spiega loro come poter inserire la scuola nel piano educativo del Mali e in quello che è il sogno del Presidente della repubblica, voler dotare ogni villaggio di una scuola, il che si traduce poi concretamente nella possibilità di inviare un maestro per tre anni. Starà agli abitanti del luogo prendere in carico la costruzione della scuola e la continuità dell’educazione.
Marco e Giulia a questo punto sono pienamente coinvolti, convinti e ‘irretiti’ dalle maglie di relazioni umane impreviste; semplicemente, non possono restare indifferenti e inattivi dopo quanto hanno visto, toccato con mano, scambiato. Tornati a Verona, fondano la associazione di volontariato MetisAfrica, che collaborerà con ORISS per trovare fondi e finanziamenti per il progetto, intensificando gli scambi tra la nostra e la loro cultura: invitare i dogon e i maliani in Italia a tenere seminari, conferenze, promuovere incontri, gemellaggi tra scuole, fare conoscere le loro danze e la loro arte; condurre viaggi capaci di visitare con attenzione e rispetto, ma in profondità, il loro paese.
Il progetto era stato chiamato con un nome dogon, Agi Koleli, che significa: l’alleanza che i nostri padri fecero noi non la romperemo.
Non soltanto un aiuto, quindi, ma una profonda compromissione reciproca. L’amicizia e i rapporti umani sono beni preziosi, che i dogon sanno come coltivare. Hanno bisogno di tempo, di fiducia, di pazienza, della disponibilità a comprendersi reciprocamente e a rispettarsi.
Agi koleli. Un impegno per noi, per i nostri figli; un’attenzione alla continuità e alla lungimiranza; un’alleanza.
Da “Agi Koleli”…….